Stop all’assegno divorzile per l’ex-coniuge debole secondo la Cassazione? Osservazioni sulla sentenza 11504/2017


Si segnala il mutamento giurisprudenziale avvenuto con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 18287/2018. Per saperne di più sugli ultimi aggiornamenti in materia di assegno divorzile vi invito a leggere il nuovo approfondimento sull’assegno di divorzio.

La sentenza della Corte di Cassazione del 10 maggio 2017 è considerata una rivoluzione in tema di assegno divorzile. Sono stati infatti ridotti i casi nei quali questo spetterebbe all’ex-coniuge con reddito minore (in gergo legale debole).

Bisogna però notare che la sentenza in esame non è stata resa dalle Sezioni Unite (che, mettendo d’accordo tutte le sezioni della Suprema Corte, fornisce un precedente da cui è difficile discostarsi), ma dalla sola prima sezione civile. È quindi una sezione semplice.

Altro punto da tener presente è che la sentenza riguarda solamente l’assegno divorzile, non quello liquidato in sede di separazione. Questo perché la separazione non scioglie il matrimonio, e il coniuge debole merita maggiore tutela rispetto all’ex-coniuge.

Presupposti per l’assegno divorzile: quando l’ex-coniuge ha redditi “adeguati”?

La sentenza afferma di demolire l’orientamento consolidatosi “a distanza di quasi ventisette anni”, cioè l’interpretazione prevalente data dai tribunali di una parte dell’articolo 5 della legge sul divorzio. Questa stabilisce che l’ex-coniuge debole possa percepire l’assegno divorzile solo “quando non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. Finora per mezzi adeguati si è sempre intesa la disponibilità economica che permette di mantenere lo stesso tenore di vita che si aveva durante il matrimonio.

La Cassazione ha cambiato questa interpretazione, intendendo come mezzi adeguati le risorse economiche che consentano all’ex-coniuge di raggiungere l’indipendenza economica. Non viene più considerato l’eventuale maggiore tenore di vita matrimoniale.

La nuova interpretazione avrà maggiori ripercussioni sui divorzi con notevoli disparità economiche tra ex-coniugi.

Ad esempio consideriamo una coppia formata da persone con reddito mensile di 1200 € e 6000 € rispettivamente. La somma dei due redditi permette alla coppia una qualità di vita alta. In caso di divorzio, è evidente che il soggetto con minore disponibilità non potrà mantenere questo tenore di vita con i suoi soli introiti. Secondo la precedente interpretazione, la persona dell’esempio avrebbe diritto all’assegno divorzile per vivere con lo stesso tono. Non si considera il fatto che 1200 € mensili permettano comunque un’esistenza dignitosa in autosufficienza. Con la nuova interpretazione, invece, l’ex-coniuge debole dell’esempio non avrà diritto all’assegno divorzile, perché è in grado di vivere degnamente col suo solo reddito.

Il perché della nuova interpretazione: funzione assistenziale dell’assegno

La Cassazione afferma che l’assegno divorzile è motivato dalla solidarietà tra ex-coniugi. Sebbene il divorzio riporti i coniugi allo stato di persone singole, l’aver condiviso parte della vita implica che, al bisogno, si abbiano doveri solidali verso l’altro. L’assegno ha quindi sola funzione assistenziale.

Il mantenimento del maggiore tenore di vita, invece, non è meritevole di tutela giuridica. La Corte di Cassazione sostiene che, seguendo la linea precedente, l’ex-coniuge con maggiori introiti sarebbe onerato da un’obbligazione illegittima e praticamente infinita. L’obbligo di versare l’assegno divorzile cessa infatti solo quando l’ex-coniuge si sposa nuovamente o crea una seconda famiglia di fatto. L’illegittimità è data anche dalla prosecuzione dell’obbligo dopo la fine del matrimonio, causa che lo giustifica. In gergo legale si parla di ultrattività. A sostegno di questa decisione, la Corte cita la situazione giuridica degli altri Paesi europei, ed il fatto che l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni cessi una volta che questi abbiano raggiunto l’indipendenza economica.

Queste riflessioni non valgono per la separazione, in quanto l’obbligo di versare un assegno per riequilibrare le situazioni economiche dei coniugi è dovuto perché il matrimonio è ancora in corso.

Il principio dell’autoresponsabilità delle scelte lavorative prese durante il matrimonio

Infine viene citato il principio dell’autoresponsabilità economica, che comporta che le scelte lavorative di ciascun soggetto, anche del coniuge, sono “scelte definitive riguardanti la dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione delle relative conseguenze, anche economiche”. In pratica, il singolo è il solo responsabile delle sue scelte in ambito lavorativo. Aver messo in secondo piano la carriera per favorire l’equilibrio economico familiare non comporta automaticamente il diritto all’assegno divorzile.

Conclude la Corte affermando che, in concreto, dovrà verificarsi in base ai redditi dell’ex-coniuge debole se lo stesso possa raggiungere l’indipendenza economica. Ciò tenuto conto, ad esempio, del costo della vita nella sua città e dei costi per l’alloggio.

L’ex-coniuge meno abbiente e disoccupato dovrà dimostrare in causa la non autosufficienza economica per cause oggettive. Si valuteranno quindi le sue capacità e titoli, tenendo presente il mercato attuale del lavoro e l’influenza di fattori come età, genere e stato di salute sulla possibilità effettiva di trovare impiego.

Nel classico esempio del coniuge casalingo e del coniuge lavoratore, cambierà l’importo dell’assegno (che non dovrà più raggiungere il tenore di vita matrimoniale ma solo l’indipendenza economica), ma non l’obbligo di corrisponderlo, salvo si provi in giudizio che tale coniuge, dopo aver sacrificato anni per la cura della casa e della famiglia, possa ancora costruirsi una valida carriera lavorativa.

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