L’assegno divorzile spetta anche al coniuge con un reddito sufficiente a mantenersi da sé: il nuovo orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione


Premesse

Con la recentissima sentenza n. 18287/18 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno deciso di rivedere l’orientamento recentemente affermatosi riguardo all’assegno divorzile per l’ex coniuge. In base a tale orientamento, sviluppatosi nel 2017, l’ex coniuge aveva diritto a percepire l’assegno divorzile solo se non aveva un reddito tale da garantirgli l’autosufficienza economica. Reddito che, in base alla giurisprudenza sull’autosufficienza del figlio, ai dati notori sull’economia attuale e infine alle risultanze del caso concreto, si attesta approssimativamente intorno ai 1.200 – 1.500 €.

L’orientamento sviluppatosi l’anno scorso aveva l’effetto dirompente di non subordinare più l’assegno al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Il vecchio orientamento infatti comportava un rischio: un coniuge particolarmente ricco sarebbe stato “costretto” a versare un assegno divorzile elevato all’altro coniuge, anche nel caso in cui questo già avesse un reddito medio-alto, ma pur sempre minore di quello dell’ex. L’assegno divorzile doveva infatti “aumentare” il reddito del coniuge meno abbiente sino a consentirgli di mantenere lo stile di vita che aveva durante il matrimonio, quando beneficiava dell’ingente reddito dell’altro.

Tipico esempio è quello di Silvio Berlusconi e Veronica Lario: con l’indirizzo classico della Cassazione, l’ex premier doveva versare un altissimo assegno alla ex coniuge, tale da farle mantenere il tenore di vita che ci si aspetterebbe in oltre 20 anni di matrimonio con uno degli uomini più ricchi del paese. Infatti il Tribunale di Monza nel 2015 fissò l’assegno in 1 milione e 400.000€ mensili.

Con l’interpretazione del 2017, essendo chiara l’autosufficienza economica della Lario – che ha partecipazioni in società e vari redditi –, nulla aveva diritto a ricevere dal coniuge (App. Milano 4793/17). Questo secondo orientamento era stato avviato dalla Cassazione al dichiarato fine di evitare l’arricchimento ingiusto di un coniuge, con un assegno sostanzialmente a vita, anche dopo il definitivo scioglimento del vincolo matrimoniale.

In questo panorama di incertezza, in cui è stato messo in discussione l’orientamento tradizionale che durava dal 1990, si pronunciano le Sezioni Unite, col compito di dichiarare la prevalenza dell’orientamento classico o di quello del 2017.

Il superamento dei vecchi orientamenti

Con la sentenza, pubblicata l’11 luglio 2018, le Sezioni Unite inaugurano invece a loro volta un nuovo orientamento e dei nuovi criteri per la determinazione dell’assegno divorzile.

Il ragionamento parte dal dato letterale della legge sul divorzio, che all’art. 5 così dispone sull’assegno divorzile:

il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

L’attenzione va posta proprio su quest’ultimo inciso sottolineato: quando il coniuge non ha “mezzi adeguati” e dunque ha diritto all’assegno?

Secondo l’interpretazione classica, quando, da solo, col suo reddito, non può godere dello stesso tenore di vita del matrimonio. Secondo l’orientamento del 2017, invece, il coniuge non ha “mezzi adeguati” se non può provvedere, da solo, al proprio sostentamento, ossia non è in grado di mantenersi da sé.

Le Sezioni Unite criticano entrambi gli orientamenti: il primo perché rischia di arricchire ingiustificatamente ed eccessivamente il coniuge meno abbiente, soprattutto quando già disponga di un proprio adeguato reddito. Il secondo perché penalizza il coniuge che ha sacrificato la propria carriera, con conseguente incremento del reddito familiare o del reddito dell’altro coniuge. Infatti la Cassazione del 2017 non ha tenuto conto che la scelta del coniuge di sacrificare la propria carriera, seppur correttamente ricondotta all’autodeterminazione e di cui egli si deve prendere la responsabilità, si inserisce all’interno di una scelta dei ruoli nel rapporto coniugale, anch’essa frutto del libero consenso dei coniugi. Di tutte queste scelte occorre tener conto anche dopo la fine del matrimonio, facendone ricadere le conseguenze su entrambi i coniugi, non solo su chi ha sacrificato la propria carriera.

Le Sezioni Unite criticano poi entrambi gli orientamenti per essersi concentrati, nell’art 5 della legge sul divorzio, solo sui “mezzi adeguati”, decidendo solo in base a questi se l’assegno spetti o meno, senza tener conto degli altri criteri previsti dalla legge. Entrambi gli orientamenti infatti fanno una netta ripartizione: da un lato l’insussistenza dei mezzi adeguati, condizione che sola può legittimare l’assegno. Dall’altra gli altri criteri (contributo dato da ciascun coniuge alla famiglia e al patrimonio, durata del matrimonio, etc), che potevano solo giustificare una maggiore o minore misura dell’assegno.

La soluzione delle Sezioni Unite

Nell’inaugurare un nuovo orientamento, le Sezioni Unite impongono che la valutazione dei “mezzi adeguati” debba avvenire proprio tenendo conto degli altri criteri stabiliti all’inizio della disposizione della legge sul divorzio, ossia: “le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

Pertanto, in base al nuovo orientamento il Giudice, per accertare se è dovuto l’assegno di divorzio, dovrà:

    1. Innanzitutto verificare se i redditi dei coniugi sono significativamente sproporzionati e diversi.

    2. Se tale disparità sussiste, e specificamente un coniuge non è neppure autosufficiente, egli avrà diritto a un assegno che gli consenta almeno di provvedere a sé stesso (se i redditi dell’altro coniuge sono abbastanza alti da permetterlo).

      A prescindere dall’autosufficienza, dunque sia nel caso di coniuge con reddito esiguo sia con reddito maggiore, occorre poi verificare la causa della disparità economica. Occorre cioè verificare se il coniuge più povero sia tale perché ha rinunciato alla propria carriera per assumere un ruolo prevalentemente familiare (casalingo, cura dei figli, etc), in tal modo incrementando, direttamente o indirettamente (es. con un risparmio di spesa) il reddito della famiglia o quello dell’altro coniuge. In particolare in quest’ultimo caso consentendo a questi di dedicarsi del tutto alla carriera, adattandosi ai suoi trasferimenti professionali, etc.

    3. In caso positivo, il Giudice dovrà svolgere una valutazione prognostica circa la concreta possibilità, per il coniuge più povero, di recuperare il pregiudizio economico dato dal suddetto sacrificio della sua carriera, con un nuovo lavoro. Il Giudice dovrà quindi valutare la capacità professionale e l’età del coniuge che avrebbe diritto all’assegno, per verificare se possa o meno ancora inserirsi o reinserirsi nel mondo del lavoro.

    4. Solo se il sacrificio della carriera del coniuge debole, a favore del reddito familiare o dell’altro coniuge, sia irreparabile, essendo impossibile trovare un lavoro adeguato, il Giudice dovrà disporre l’assegno divorzile. E non in modo da consentire all’ex coniuge

      soltanto […] l’autosufficienza, […] ma, […] un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente.

      La maggiore o minore misura dell’assegno dipenderà dunque dalla misura del contributo dato al coniuge alla formazione del reddito della famiglia o dell’altro coniuge, dalla durata del matrimonio e dalla sua età.

Conclusioni

In conclusione, nel concreto potranno verificarsi due ipotesi:

  • o si prova nel giudizio che il coniuge, pur avendo un minor reddito e non essendo in grado – per età, condizioni fisiche o capacità professionale – di trovare un lavoro adeguato, si trova in tale condizione per scelte proprie e non per un sacrificio della propria carriera a favore del patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge: in tal caso nulla sarà lui dovuto, salvo il caso in cui non sia in grado di mantenersi da sé.

  • viceversa, ove il coniuge meno abbiente sia tale per il sacrificio della propria carriera a favore del reddito familiare e dell’altro coniuge, egli avrà diritto all’assegno, che verrà quantificato in concreto con riguardo all’età, alla durata del matrimonio e alla misura del suddetto contributo ai redditi della famiglia e dell’altro coniuge. L’assegno così determinato potrà essere ben maggiore alla somma che consenta all’ex coniuge di mantenersi da sé, e potrà essere dovuto anche a chi già gode, ad esempio, di redditi medio alti.

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