Restituzione dell’assegno divorzile revocato: l’ordinanza Berlusconi 2


La Corte di Cassazione, con la recentissima ordinanza 21926 del 30 agosto 2019, fa il punto su un tema molto discusso e già trattato in questo sito. Si tratta della possibilità di riavere indietro i soldi versati all’ex coniuge nel periodo compreso tra la domanda di revoca o riduzione dell’assegno e il provvedimento di accoglimento.

La Suprema Corte abbraccia un indirizzo che era rimasto, finora, minoritario, e fissa dei criteri chiave in base ai quali l’ex coniuge debole, già titolare dell’assegno, deve restituire i soldi percepiti. Il principio affermato dalla Cassazione potrà ragionevolmente valere anche per l’assegno di mantenimento determinato in sede di separazione, poiché storicamente la giurisprudenza dei due assegni è andata di pari passo in quest’ambito.

I fatti

Il Tribunale di Monza ha riconosciuto a Veronica Lario un assegno divorzile di 1 milione e 400 mila euro. Berlusconi ha appellato la sentenza, chiedendo la revoca dell’assegno e, in subordine, la sua riduzione.

Con sentenza n. 4793 del 16 novembre 2017, la Corte d’Appello di Milano ha accolto l’impugnazione, revocando l’assegno e dichiarando che nulla fosse più dovuto alla Lario. Nel farlo, si è attenuta all’orientamento del 2017, allora vigente, in tema di spettanza dell’assegno divorzile, ormai superato. Inoltre, la Corte ha stabilito che la revoca dell’assegno decorresse dal mese successivo al passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio. Sentenza, questa, che si pronuncia solo sullo stato dei coniugi, dichiarandoli non più tali, e che risaliva al 17 febbraio 2014 e sarebbe passata in giudicato, se notificata alla controparte, in 30 giorni, viceversa in sei mesi. In sostanza, la Corte d’Appello ha disposto che la Lario dovesse restituire gli assegni percepiti per circa 3 anni, per un totale di svariati milioni di euro.

Contro questa decisione ha proposto ricorso in Cassazione Veronica Lario, chiedendo, per quanto qui interessa, di rivedere la sentenza alla luce del nuovo orientamento del 2018 sull’assegno divorzile e, in ogni caso, di modificare la decorrenza della revoca dell’assegno, trattandosi, secondo l’orientamento maggioritario, di somme non restituibili.

La decisione della Cassazione: revoca dell’assegno….

Relativamente al primo punto, la Cassazione ha confermato che l’assegno divorzile non spetta alla Lario. A tanto è arrivata seguendo il nuovo orientamento, secondo i passaggi già descritti in questo sito. La Corte, infatti, pur avendo rilevato un enorme squilibrio tra i redditi dei coniugi, ha concluso che la causa di tale squilibrio non fosse legata alla rinuncia, da parte della Lario, alla propria carriera. Né dalla dedizione della stessa alla famiglia, seppur tale ruolo fosse stato assunto di comune accordo col marito. Lo squilibrio reddituale era in realtà dovuto all’enorme ricchezza che Berlusconi aveva accumulato ben prima del matrimonio. Inoltre, la Corte ha riconosciuto che quest’ultimo ben si è occupato del futuro “da single” dell’ex coniuge, in quanto la quasi totalità del di lei patrimonio è stata costituita da lui.

… la decorrenza retroattiva …

Relativamente alla decorrenza, la Cassazione ha confermato quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano. Ha ricordato, infatti, che il diritto all’assegno divorzile sorge solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza sullo stato (chiamata anche sentenza parziale o non definitiva, che si pronuncia, come già detto, solo sullo status di coniugi, dichiarando sciolto il matrimonio). Pertanto, la Corte d’Appello, stabilendo che da quel momento non sussistevano i presupposti per l’assegno divorzile, non avrebbe errato.

Inoltre, si sottolinea che la domanda di revoca dell’assegno era stata proposta il 14 maggio 2013. Ci son voluti, dunque, vari anni, fino al 2017, di accertamenti e valutazione delle prove per verificare la non spettanza dell’assegno. Di questa variabile lunghezza del processo non deve patire le conseguenze l’attore, in questo caso Berlusconi. Pertanto, è legittimo far retroagire gli effetti del provvedimento di revoca. Specificamente, in questo caso non sono stati fatti retroagire al momento della domanda proprio perché allora, non essendo ancora i coniugi divorziati (cosa che sarebbero diventati con la sentenza sullo stato del 17 febbraio 2014) non poteva discorrersi di assegno divorzile, sia per concederlo che per revocarlo.

….e l’obbligo di restituzione delle mensilità percepite

Giungendo al punto che più interessa, la Cassazione sembra, inizialmente, voler scartare la questione, affermando che la restituibilità delle somme riguarda un procedimento diverso da quello di divorzio.

Tuttavia, entra poi nel vivo del problema. È vero, dice la Corte, che la maggior parte della giurisprudenza ritiene che l’assegno di mantenimento della separazione e l’assegno divorzile, percepiti e successivamente revocati, non devono essere restituiti. Però, aggiunge, tanto si è affermato “soltanto se le obbligazioni abbiano […] carattere sostanzialmente alimentare”.

La Cassazione fa poi una distinzione: l’assegno per i figli si presume di natura alimentare e non è restituibile. L’assegno per il coniuge o ex coniuge, invece, si considera tale solo se di importo esiguo rispetto alle ordinarie spese mensili dello stesso titolare dell’assegno. Infatti, le somme possono essere trattenute dal coniuge

<<nei soli limiti in cui […] possono ritenersi dirette ad assicurare unicamente i mezzi economici necessari per far fronte ad esigenze di vita, così da essere normalmente consumate per adempiere a tale destinazione>>.

La Cassazione afferma, cioè, che non sempre tali somme possono essere trattenute, nonostante, in base a provvedimento giudiziale, non fossero dovute. Il diritto di trattenerle sorge infatti per un preciso motivo, ossia evitare al coniuge debole un obbligo di accantonare gli assegni in tutto o in parte, nel rischio che sopraggiunga il provvedimento di revoca. Questa tutela sorge, però, solo se l’assegno ha “carattere sostanzialmente alimentare”, ossia è abbastanza basso da far presumere che venga consumato per le normali esigenze di vita.

Tali esigenze vanno quantificate in base al concreto tenore di vita di chi riceve l’assegno, ma con un limite: le spese devono pur sempre essere riconducibili al sostentamento dell’individuo (cibo, abbigliamento, casa, etc), non essere palesemente esorbitanti. E non conta che l’ex coniuge affermi, come nel caso della Lario, di aver consumato gli assegni, seppur elevati. Infatti, la logica della presunzione dell’utilizzo dell’assegno tutela solo chi, ragionevolmente, potrebbe averlo speso per  beni e servizi “legati, anche in senso ampio, alla nozione di mantenimento personale”. Viceversa, l’ex coniuge avrà l’obbligo di accantonare le somme fino alla decisione sulla revoca o riduzione dell’assegno.

Nell’affermare questi principi, l’ordinanza in commento si rifà a un lontano precedente del 2002 (17 anni fa), ossia la prima sentenza che estese il principio della non restituibilità all’assegno divorzile, prima vigente solo per l’assegno di mantenimento della separazione. Tale sentenza limitava il diritto di non restituzione al caso in cui l’assegno rispondesse a “mere esigenze di carattere alimentare”, discostandosi quindi dalla solita formula del “carattere sostanzialmente alimentare”. Con l’ordinanza in commento, la Cassazione estrapola in realtà un principio di diritto affermato chiaramente in pochi precedenti, e applicato, nel senso di concludere per la non restituzione, in un numero ancor più esiguo di casi. Costituisce perciò il precedente più rilevante in materia.


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