Col termine “danno da procreazione” ci si riferisce a quattro ipotesi:
- il danno patito dalla donna –e da alcuni familiari- che partorisca inaspettatamente un figlio malato perché il medico, per imperizia o negligenza, non si è accorto delle anomalie dalle analisi ed ecografie prenatali o non ha prescritto i necessari accertamenti;
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il danno patito dal figlio per dover sopportare una malattia laddove, se il medico si fosse accorto della stessa, la madre avrebbe interrotto la gravidanza e lui non sarebbe nato;
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il danno patito dal figlio per dover sopportare una malattia trasmessa dai genitori consci di trasmetterla;
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il danno patito dalla donna –e, secondo i casi, da alcuni familiari- per l’inizio inaspettato di una gravidanza (che può essere portata a termine o interrotta, volontariamente o meno), nonostante il ricorso a tecniche di sterilizzazione (ad esempio la spirale);
In questo approfondimento ci occuperemo solo della prima di queste ipotesi, verificando se spetta un risarcimento, a chi spetta, in quali casi e come viene quantificato. È il caso di accennare al fatto che, nel secondo e nel terzo caso, la giurisprudenza nega che al figlio possa spettare un risarcimento.
Il danno per la nascita indesiderata di un figlio malato
Questa ipotesi è in assoluto la più comune.
Come sopra accennato, il caso è quello della donna incinta che esegue tutte le analisi prenatali di routine ed eventualmente anche altre (amniocentesi, villocentesi, translucenza nucale, etc.), nonché tutte le necessarie ecografie fetali, senza che i ginecologi rilevino nessuna malattia nel nascituro. Tuttavia, al momento del parto, si scopre, invece, che il neonato presenta delle gravi anomalie. Deve trattarsi, per esserci un danno, ovviamente di malattie diagnosticabili: la mancata diagnosi di una malattia impossibile o molto difficile da rilevare non sarebbe fonte di responsabilità per il medico.
Le conseguenze della malattia inaspettata sono molte: la donna –o la coppia- si ritrova a dover accogliere un figlio malato senza alcuna preparazione psicologica, a doverlo crescere e assistere anche tutto il giorno perché non autosufficiente, con tutte le necessarie implicazioni sull’organizzazione futura del lavoro, del tempo da dedicare ad eventuali altri figli, etc.
Di fronte a tale situazione, per indagare la natura del danno da procreazione è importante individuare gli interessi lesi:
Gli interessi lesi e le voci di danno non patrimoniale
1- Risarcimento del danno non-patrimoniale da mancata informazione sul reale stato di salute del feto.
Innanzitutto viene leso, in ogni caso (sia nel caso in cui la madre avrebbe abortito che nel caso in cui avrebbe comunque tenuto il figlio malato), il diritto della gestante all’informazione nell’ambito del trattamento sanitario: la negligenza del medico ha impedito che la donna potesse conoscere per tempo la malattia del nascituro e che potesse quindi decidere se abortire o se prepararsi adeguatamente e psicologicamente all’accudimento del figlio.
Il tutto si traduce in un danno non-patrimoniale da sofferenza e sconvolgimento dell’esistenza –attenzione– legato specificamente alla mancata informazione, ossia all’”effetto sorpresa” della nascita del figlio malato, non alla nascita in sé.
Si tratta di un danno che spesso coincide, nel caso in cui la madre avrebbe abortito, con il danno dalla stessa preclusione dell’aborto, per cui è difficile scindere i due profili. Il danno da omessa informazione può essere risarcito anche nel caso in cui, giova ripeterlo, la donna avrebbe comunque tenuto il figlio malato, ma si deve provare che <<l’omessa informazione abbia determinato un peggioramento rispetto alle condizioni in cui la donna si sarebbe trovata se l’informazione l’avesse ricevuta>> (Cass. 9706/2020)
2- Risarcimento del danno non-patrimoniale da preclusione della possibilità di abortire.
Il secondo diritto leso è il diritto all’aborto. La donna deve provare innanzitutto la sussistenza delle condizioni oggettive per l’aborto terapeutico (art. 6 b, l. 194/1978): la diagnosi della malattia deve avvenire in un periodo compreso tra il 91esimo giorno e il periodo in cui il feto potrebbe sopravvivere fuori dall’utero (30-32esima settimana); l’anomalia deve essere grave; la stessa deve ripercuotersi sulla salute della donna, con pericolo che la stessa sviluppi gravi problemi psicofisici.
Provati i presupposti legali, la donna deve provare quelli soggettivi, ossia che, ove adeguatamente informata dell’anomalia e sussistenti le condizioni di legge, avrebbe deciso di effettuare un aborto terapeutico.
In concreto, la donna deve provare che, ove avesse saputo che il feto era affetto dalla grave malattia, detta circostanza avrebbe avuto delle ripercussioni nella sua salute, tali da determinare un “grave pericolo per la salute fisica o psichica”, come dice la legge. La giurisprudenza ha cercato di alleggerire questo onere della prova particolarmente gravoso, affermando che la richiesta e l’effettuazione delle analisi prenatali è un indice importante della volontà della donna di conoscere e scongiurare malattie fetali; inoltre, si conferisce particolare importanza alla situazione sociopsicologica della donna, pregressa e successiva al parto.
Rientra in questo tipo di danno non patrimoniale ogni sofferenza interiore e/o danno alla salute direttamente ricollegato alla nascita indesiderata (si ricordi che presupposto per abortire è lo stesso pericolo di insorgenza di un danno grave alla salute della donna, che sia conseguente alla malattia fetale), che non si sarebbe verificato se la gestante avesse abortito.
Ad esempio, il fatto stesso della nascita del figlio gravemente disabile, l’eventuale rottura della relazione o abbandono delle proprie aspettative lavorative che ne possa derivare, le modifiche nelle abitudini di vita (rinunciare a vacanze, etc.). È importante sottolineare che ogni danno non patrimoniale, seppur quantificato equitativamente (ossia senza una “lista spese” come si fa per quello patrimoniale), deve essere attentamente allegato e provato, ad esempio con testimonianze sulle mutate abitudini, con consulenza tecnica, con le deposizioni dei professionisti che hanno seguito la donna nel suo malessere.
In caso di danno alla salute che concretizzi lesioni micropermanenti, trattandosi di responsabilità medica, ai sensi della Legge Balduzzi lo stesso deve essere quantificato secondo gli artt. 138-139 cod. ass. (Cass.13881/2020), viceversa verrà valutato equitativamente e può attestarsi anche intorno ai 100.000 -200.000 €.
Le voci di danno patrimoniale
Questa è la voce decisamente più sostanziosa del danno, che porta a cifre anche superiori al milione di euro.
3-Spese dei professionisti che abbiano eventualmente seguito la donna in conseguenza del trauma psicologico della nascita indesiderata (psicologo, psichiatri consultati prima della causa, nonché le spese di CTU e CTP durante la causa stessa)
In secondo luogo vi sono le spese per il figlio. Considerato che la donna che agisce in giudizio prova che avrebbe abortito, il figlio non sarebbe nato affatto (la nascita di un figlio sano, l’unica voluta, non era un’eventualità, viste le malattie del nascituro).
Sono quindi dovuti:
4- Spese per il mantenimento vero e proprio del figlio: in genere richieste fino al 25esimo anno d’età, sulla base delle aspettative di vita della donna che agisce e della consuetudine della giurisprudenza; vengono liquidate in maniera equitativa.
5- Spese per l’assistenza medica del figlio, ossia i maggiori costi legati alla sua disabilità: badanti, fisioterapiste, psicologhe e ogni altro sostegno necessario; eventuali protesi necessarie, nonché i costi del loro ricambio, manutenzione e sostituzione prevedibili, secondo quanto esplicato da Cass. 13881/2020.
A chi spetta il risarcimento, oltre che alla madre?
Il risarcimento, per unanime giurisprudenza inaugurata da Cass. 16754/2012, spetta anche al padre e ai fratelli del nuovo nato, come danno non patrimoniale esistenziale o alla salute.
Premesso che questi soggetti dovranno agire insieme alla madre, (sempre previa prova e allegazione), ai fratelli viene riconosciuto un danno non-patrimoniale legato a <<l’inevitabile, minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché alla diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione>>
Escluso ogni danno patrimoniale che sia già ricompreso in quello liquidato alla madre, anche al padre viene riconosciuto un danno non-patrimoniale per lo stravolgimento delle abitudini di vita (lavorative, le abitudini di vita intima con la partner, etc).
PER APPROFONDIMENTI, vedere i saggi indicati nella sezione Pubblicazioni, in particolare “Danno da aborto indesiderato”, su Rivista giuridica sarda 1/2021